La sostituzione dell’anca è un intervento chirurgico importante e, sebbene le tecniche siano diventate sempre più sicure ed efficaci, è normale che i pazienti desiderino avere tutte le informazioni necessarie per affrontare l’operazione con serenità.
In questo articolo, affronteremo alcune delle domande più frequenti che i pazienti pongono prima di sottoporsi a questo tipo di intervento.
1. Quanto dura un intervento di protesi d’anca?
Un intervento standard di protesi d’anca dura tra 60 e 90 minuti. Questo tempo include la preparazione del paziente, l’esecuzione dell’intervento vero e proprio e le procedure finali, come il controllo della stabilità della protesi e la chiusura della ferita.
Nel mio approccio, utilizzo tecniche mininvasive che, oltre a ridurre il trauma ai tessuti, spesso consentono una riduzione del tempo chirurgico. Meno tempo in sala operatoria significa anche un minore rischio di complicazioni e una ripresa più rapida per il paziente.
Dopo l’intervento, il paziente viene trasferito in sala di risveglio, dove viene monitorato fino a quando non si è completamente stabilizzato. Questa fase può durare circa 1-2 ore.
2. Tornerò a camminare bene e senza dolore?
Dopo l’intervento di protesi dell’anca, l’obiettivo principale è proprio quello di permettere al paziente di tornare a camminare bene e senza dolore. La maggior parte dei pazienti sperimenta un significativo miglioramento della qualità della vita, con una riduzione drastica del dolore e un aumento della mobilità.
Nella mia pratica, utilizzo tecniche mininvasive che riducono il trauma ai tessuti circostanti e facilitano un recupero più rapido. Il percorso di riabilitazione è fondamentale per ottenere i migliori risultati: fisioterapia e esercizi specifici aiutano a rafforzare i muscoli e a migliorare la mobilità.
In generale, i pazienti che seguono attentamente il programma di recupero tornano a camminare bene e senza dolore anche dopo appena due settimane dall’intervento.
3. Sentirò molto dolore dopo l’intervento?
Grazie ai progressi nelle tecniche anestesiologiche e alla chirurgia mininvasiva, oggi il dolore post-operatorio è gestibile e spesso inferiore a quanto ci si aspetti.
Nel periodo post-operatorio, il dolore è gestito con una combinazione di farmaci analgesici, antinfiammatori e, se necessario, oppioidi per brevi periodi, a volte anche solo per pochi giorni. Inoltre, l’utilizzo di tecniche mininvasive contribuisce a ridurre il trauma ai tessuti circostanti, diminuendo così il dolore e accelerando il recupero. I pazienti spesso riferiscono che il dolore post-operatorio è molto inferiore rispetto a quello provato prima dell’intervento all’anca, dovuto all’artrosi o alla patologia che ha reso necessaria la protesi.
4. Quanto durerà la degenza in ospedale?
La durata della degenza ospedaliera dopo un intervento di protesi d’anca varia in base a diversi fattori, tra cui lo stato di salute generale del paziente, il tipo di intervento eseguito, e la risposta individuale all’operazione.
Nella mia esperienza, i pazienti rimangono in ospedale per un periodo che va dai 3 ai 5 giorni, massimo 14 giorni in casi più delicati. Durante questo tempo, vengono monitorati per assicurarsi che il recupero proceda senza complicazioni, e iniziano il programma di riabilitazione già in ospedale.
Il ritorno a casa non significa che il processo di recupero sia concluso; anzi, prosegue con la fisioterapia e con l’adozione di tutte le precauzioni necessarie per evitare complicazioni. Per alcuni pazienti, potrebbe essere necessario un periodo di riabilitazione in una struttura specializzata, soprattutto se ci sono altre condizioni mediche che richiedono un’attenzione particolare.
5. Quando posso riprendere l’attività fisica?
Il ritorno all’attività fisica dopo un intervento di protesi d’anca è un obiettivo comune per molti pazienti, e con le giuste precauzioni, è possibile riprendere molte attività sportive. Generalmente, i pazienti possono iniziare con esercizi leggeri già dopo poche settimane dall’intervento, seguendo un programma di riabilitazione mirato.
Attività a basso impatto, come camminare, nuotare, andare in bicicletta e fare esercizi in acqua, sono particolarmente raccomandate nei primi mesi. Questi esercizi aiutano a rafforzare i muscoli e a migliorare la mobilità senza mettere eccessivo stress sulla nuova articolazione. Sport ad alto impatto, come la corsa o il tennis, devono invece essere evitati, poiché possono aumentare il rischio di usura della protesi e di complicanze.
Dopo circa 3-6 mesi, a seconda dei progressi individuali e delle indicazioni del chirurgo, i pazienti possono gradualmente riprendere altre attività fisiche, sempre con attenzione ai segnali del corpo e alla necessità di evitare movimenti che potrebbero mettere a rischio la stabilità della protesi. La chiave è un approccio graduale e la consulenza continua con il team medico per garantire una ripresa sicura e sostenibile.
6. È possibile che la protesi all’anca venga rigettata?
Il termine “rigetto” è più comunemente associato ai trapianti d’organo, dove il sistema immunitario del corpo attacca il nuovo organo come se fosse un corpo estraneo. Tuttavia, nel caso delle protesi d’anca, il rischio di rigetto è estremamente raro, poiché i materiali utilizzati per le protesi sono progettati per essere biocompatibili, ovvero per integrarsi senza problemi nel corpo umano.
Il rischio maggiore è associato a infezioni, che possono verificarsi quando batteri entrano nel sito chirurgico e attaccano la protesi. Un’infezione può causare dolore, gonfiore e instabilità e, se non trattata, può richiedere la rimozione della protesi. Per minimizzare questo rischio, vengono prese misure preventive durante l’intervento, come l’uso di antibiotici prima e dopo la chirurgia, e tecniche chirurgiche asettiche.
Nel mio percorso di specializzazione nella chirurgia protesica, con particolare attenzione alla chirurgia mininvasiva e di revisione, ho maturato una grande esperienza nell’adattare la protesi all’anatomia del paziente, privilegiando approcci che consentano un recupero rapido e ottimale. Il mio obiettivo è sempre quello di ridurre al minimo l’invasività dell’intervento, permettendo ai pazienti di tornare il prima possibile a una vita normale e priva di dolore.
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